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La diagnosi delle allergie alimentari

Diagnosi allergie alimentari: da dove si comincia?

L’anamesi è il preliminare indispensabile a qualunque intervento diagnostico successivo: durante un colloquio con il paziente, il medico valuta il suo stato di salute generale e raccoglie informazioni su eventuali patologie allergiche familiari, su abitudini alimentari, stile di vita, tipo di attività lavorativa, eventuale uso di farmaci. Il paziente è invitato a descrivere il tipo di cibo ritenuto responsabile dei sintomi delle allergie alimentari, le modalità di consumo (cotto o crudo), l’intervallo di tempo intercorso tra la sua assunzione e la comparsa dei sintomi, la loro gravità, la frequenza con cui si manifestano, il primo episodio in cui essi sono apparsi. Se i dati raccolti fanno sospettare un’allergia alummare, il medico procede a effettuare i test diagnostici.

Test diagnostici specifici vengono allestiti per cercare di individuare l’alimento scatenante l’allergia e comprendono test cutanei e test di laboratorio.

Test cutanei

Rappresentano il primo strumento di indagine, sono semplici da eseguire, di basso costo, consentono di testare più allergeni contemporaneamente, forniscono risposte rapide e sufficientemente

• Skin Prick Test. Viene eseguito utilizzando estratti fluidi commerciali dei vari alimenti. Dopo aver individuato il gruppo di alimenti più probabilmente responsabili delle manifestazioni allergiche, lo specialista pone sulla cute dell’avambraccio del paziente una goccia di ogni tipo di estratto e punge la pelle con una lancetta monouso per far penetrare le varie sostanze. La lettura del test avviene circa venti minuti dopo. La comparsa di gonfiore e rossore in corrispondenza di timi delle zone di deposizione degli estratti alimentari fa nascere il sospetto di sensibilizzazione verso l’alimento posto in quel punto.

• Prick by Prick. Si basa sugli stessi principi del test precedente e risulta particolarmente utile in caso di reazioni avverse a frutta e verdura. In luogo degli estratti commerciali degli alimenti sono utilizzati direttamente gli alimenti freschi. Con una lancetta metallica monouso si punge prima l’alimento da testare e subito dopo la cute del paziente. La lettura del test avviene con le stesse norme descritte per lo Skin Prick Tisi. La sensibilità di questo test cutaneo è superiore rispetto al precedente e consente di testare anche alimenti dei quali non esiste estratto fluido commerciale. Il Prick by Prick può però dare dei risultati falsamente negativi per alcuni alimenti, come ad esempio per la frutta a guscio.

Test sierologici

Si tratta di test di laboratorio eseguiti sul sangue prelevato al paziente.
• Dosaggio delle IgE totali. Questo esame consente di dosare tutti i tipi di IgE presenti nel sangue del paziente, cioè la loro concentrazione totale. Negli adulti sani questo valore oscilla tra 10 e 200 kU/L. E’ un tipo di test che indirizza solo genericamente verso una condizione di atopia, ma non fornisce alcuna indicazione sulla sua causa.

• Dosaggio delle IgE specifiche. Questo esame viene eseguito per integrare test cutanei positivi o incerti e permette di evidenziare, sia qualitativamente che quantitativamente, anticorpi di tipo IgE prodotti contro uno specifico alimento e presenti nel sangue del paziente. Un unico campione di sangue è sufficiente per testare la reale allergenicità di più alimenti già sospettati di provocare aller-gia. Questo test è uno strumento d’indagine obbligatorio in caso di lesioni cutanee, uso di farmaci antistaminici, gravi forme allergiche, per le quali si sospetti che il contatto con quantità anche molto piccole dell’alimento, come quelle impiegate nei test cutanei, passa scatenare gravi reazioni generalizzate. Studi recenti hanno permesso di affermare che il dosaggio quantitativo delle IgE specifiche contro un certo alimento è indice predittivo circa la possibile ricomparsa di reazioni avverse al momento della riassunzione dell’alimento stesso. La quantità di IgE al di sotto della quale l’assunzione dell’alimento implicito non provoca reazione, la cosiddetta dose-soglia, non è setta ancoro individuata; la messa a punto di questa scala di riferimento, che semplificherebbe non poco la gestione delle allergie a parecchi alimenti, è di difficile attuazione, sia per difficoltà intrinseche alla metodica, sia soprattutto perché l’eventuale dose-soglia non potrebbe care la stessa per tutti, ma variabile in funzione della storia allergica di ogni paziente. Il limite di questo tipo di test è rappresentato dal rischio di incorrere in risultati falsamente positivi, a causa di meccanismi di cross-reartività, cioè di reazioni crociate tra alimenti o tra alimenti e pollini. Falsi negativi possono poi presentarsi quando nei reattivi utilizzati siano assenti alcune componenti altamente deperibili, ma comunque importanti, dell’alimento da testare. Il costo di questo tipo di esame è elevato e, contrariamente ai test cutanei, la risposta non è immediata. Di recente sono stati allestiti test molto sofisticati come lo studio degli antigeni ricombinanti e il Microamty Isac, che consentono di definire anche la gravità della sensibilizzazione.

Diete di eliminazione

Quando la storia clinica del paziente e i risultati dei test cutanei e di laboratorio sono insufficienti per formulare una diagnosi certa, si ricorre innanzitutto a una dieta di eliminazione. In letteratura esistono vari tipi di diete di eliminazione e tutti si basano sul principio che se i sintomi regrediscono eliminando dalla dieta un alimento sospetto, quest ultimo è potenzialmente responsabile della sintomatologia. Le diete di eliminazione sono mitizzare in soggetti con sintomatologia cronica compatibile con un quadro di allergopatia alimentare, ma nei quali l’alimento responsabile non è facilmente individuabile. La precedente compilazione di un diario alimentare dettagliato da pane del paziente, nel quale siano stati registrati sia gli alimenti assunti che eventuali sintomi insorti dopo il pasto, rappresenta per il medico lo strumento diagnostico di partenza. Successivamente viene prescritta al paziente una dieta di eliminazione mirata, che consiste nell’esclusione, per un tempo definito, dell’alimento oppure del gruppo ristretto di alimenti sospettati. L’assenza o la riduzione significativa dei sintomi rappresenta un’importante prova indiretta circa la probabile natura alimentare della patologia allergica.

In seguito a questa prima fase, gli alimenti sospetti sono reintrodotti, uno alla volta, in quantità definite e a intervalli di tempo regolari. L’eventuale ricomparsa di sintomi e la loro nuova scomparsa, dopo una successiva eliminazione dell’alimento, costituiscono la prova dell’esistenza dell’allergia alimentare. Nella dieta di eliminazione ipoallergenica o estensiva, è ammesso il consumo solo degli alimenti meno frequentemente responsabili di episodi allergici. Se i sintomi regrediscono nel giro di qualche settimana, gli alimenti esclusi iniziamo a essere reintrodotti secondo opportune modalità e si osserva la risposta del paziente. Questo tipo di test consente di valutare la tolleranza del soggetto a ogni singolo alimento ma, come per tutte le diete di eliminazione, è fondamentale la capacità di adesione del rraziente allo schema indicato.

Test di provocazione orale (TP0). Rappresentano la prova più significativa a scopo diagnostico e sono condotti in maniera molto mirata, in funzione dei dati raccolti con i test cutanei ed ematici. Confermano o escludono in maniera diretta l’allergia a un determinato alimento; sono molto utili per la diagnosi di intolleranza verso additivi alimentari, nel caso di polisensibilizzazioni o quando i risultati di altri test diagnostici sono poco indicativi. I TP0, pur essendo considerati come standard di riferimento, possono essere allestiti esclusivamente in centri diagnostici specializzati e protetti, poiché richiedono un’attenta sorichanza medica; inoltre non possono essere utilizzati in caso di alto rischio di anafilassi. Il paziente assume per bocca l’alimento o l’additivo sospettato e l’eventuale comparsa di una qualche reazione organica conferma o smentisce l’ipotesi di allergia/intolleranza alimentare. I test di provocazione orale possono essere di tipo ‘aperto”, quando sia il medico che il paziente conoscono il tipo di alimento da provare, oppure di tipo “cieco singolo”, quando solo il medico conosce l’alimento somministrato, oppure, infine, di tipo “doppio cieco”, quando né il medico né il paziente sono al corrente della natura dell’alimento.

Un particolare tipo di test di stimolazione orale è quello controllato in doppio cieco contro placebo.

Indicato con la sigla DBPCFC (Double Blind Placebo Controlled Food Challenge), è il test elettivo per la diagnosi di allergia/intolleranza ad alimenti ed è eseguito sempre in ambiente medico protetto. Consiste nella somministrazione alternata dell’estratto liofilizzato del cibo sospettato di provocare la sintomatologia allergica, o di un placche, senza che né il medico né il paziente conoscano la sequenza della somministrazione. L’uso del placebo consente di selezionare i sintomi e di documentarli in maniera oggettiva, evitando interferenze di natura psicosomatica. ll test richiede ripetute somministrazioni di capsule contenenti concentrazioni progressivamente crescenti di un solo alimento liofilizzato e consente di evidenziare anche minimi sintomi allergici, sufficienti per formulare una diagnosi, ma di solito controllabili riguardo al rischio di mutilassi. L’assenza di sintomatologia permette di escludere con certezza la sindrome allergici sospettata. La comparsa di sintomi specifici consente, invece, di confermare la diagnosi di allergia in caso di test allergici positivi, o di formulare diagnosi d’intolleranza alimentare.

Diete

Rischio cibi grassi

RedazioneRedazione1 Gennaio 1970

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