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Il paradosso francese

I francesi mangiano molto più grasso di noi italiani (basta pensare alla quantità di formaggi che consumano), hanno i valori medi di colesterolo assai più alti di noi, eppure, paradossalmente, hanno meno infartuati di noi ogni anno. Cosa vuol dire questo? Come spesso succede in medicina, le cose non sono semplici, soprattutto nel caso di malattie conme quella aterosclerotica, in cui le cause sono molteplici. Non abbiamo a che fare con agenti patogeni (cioè portatori di malattia) relativamente semplici, come nel caso della polmonite, in cui, debellato il germe con la penicillina, la polmonite guarisce. Nell’aterosclerosi entrano in gioco vari fattori, e non tutti sono in sé lesivi e dannosi per la parete arteriosa. Questo dato francese è stato correlato con il maggior uso di vino rosso dei nostri cugini d’oltralpe. Anche se mancano elementi conclusivi in merito, secondo molti ricercatori la ragione di tale proprietà del vino deriverebbe da alcune sostanze, i polifenoli, di cui è ricco (in particolare il resveratrolo). Queste sostanze, in quanto altamente antiossidanti, proteggono dall’invecchiamento precoce e, pare, anche dall’aterosclerosi. Tra le altre ipotesi avanzate, uno studio ha richiamato l’attenzione su un’altra proprietà del vino, non correlata ai polifenoli: esso sarebbe in grado, anche a bassi dosaggi, di rallentare la produzione da parte della parete delle arterie di una piccoli proteina, l’endotelina, che favorisce l’insorgenza dell’aterosclerosi. In ogni caso le ricerche a oggi disponibili non hanno dimostrato in modo conclusivo che esista effettivamente un rapporto di causa-effetto tra il consumo di vino e la prevenzione di malattie cardiovascolari.

Dieta per il cuore e colesterolo: un bilancio

Se il colesterolo è molto alto, la dieta da sola può essere sufficiente a ridurlo in modo efficace? Questo è un punto su cui è necessario essere molto chiari. Il medico ha di fronte un paziente e non il colesterolo: ogni paziente è diverso dagli altri, e il rischio cardiovascolare di una persona può essere molto più alto di un’altra che abbia lo stesso livello di colesterolo. Inoltre: negli ultimi anni si è compreso che persone con diversi profili di rischio hanno come obiettivo valori di cotesterolemia diversi. Per esempio, prendiamo il caso di una giovane donna in età fertile che non fuma, ha la pressione normale e una colesterolemia totale intorno a 250 mg/d12 se la parte di colesterolo “cattivo”, quello legato alle lipoproteine a bassa densità (C-LDL), è di 170 mg/dL, con una dieta adeguata ricca di olio d’oliva, pasta, fibra e pesce, potrà ridurre il colesterolo di circa il 10-15%, portando il C-LDL sotto 160 mg/c11. (obiettivo desiderabile per questa persona) senza la necessità di assumere farmaci. Di contro una persona diabetica che abbia già avuto un infarto, con un colesterolo totale ugualmente di 250 mg/dL e un C-WL sempre di 170 mg/dL, ha come obiettivo desiderabile un C-WL di 70 mg/dL. Tale obiettivo è tanto diverso dal precedente in quanto il profilo di rischio della persona considerata è molto alto (oltre il 30% di probabilità di avere un nuovo infarto nei successivi dieci anni, contro meno del 5% della donna citata in precedenza). In questo caso, unicamente con la dieta, è impossibile non solo raggiungere ma anche solo avvicinarsi al valore desiderato. Potremmo aggiungere soia, omega-3 e quant’altro ma non riusciremo mai a conseguire l’obiettivo: sarà inevitabile associare alla terapia del nostro ex-infartuato un farmaco che riduca il colesterolo, la statina. Naturalmente ciò non vuol dire che la dieta nel diabetico infartuato non serva, perché la riduzione del peso permetterà un miglior controllo della glicemia e della pressione arteriosa.

Cosa sono le statine?

Sono farmaci che agiscono riducendo la costruzione e la sintesi del colesterolo da parte del nostro fegato. Noi produciamo la maggior parte del colesterolo che ci serve: la statina riduce l’attività di un enzima indispensabile per la costruzione della molecola del colesterolo. Assumendo quotidianamente una compressa di statina è come se pagassimo un operaio per ritardare la produzione di una lirica di montaggio; il nostro fegato produrrà meno colesterolo, che si riverserà in minore quantità nel sangue così che la concentrazione di colesterolo risulterà più bassa. Negli ultimi quindici anni, sono stati condotti numerosissimi studi che hanno dimostrato in maniera forte e conclusiva che l’aggiunta della statina alla terapia delle persone che hanno già avuto un infarto riduce del 30% la probabilità di averne un altro, aumentando in maniera significativa la loro sopravvivenza. Allo stesso modo, l’assunzione della statina da parte di persone che non hanno avuto un infarto ma sono ad alto rischio (ovvero sopra il 20% di probabilità entro 10 anni) riduci:, sempre del 30% circa, questa probabilità. Un’altra importante considerazione derivante da questi studi è che la statina esercita la sua azione preventiva non solo abbassando il colesterolo ma anche grazie a un’azione antinfiammatoria sulla ignara aterosclerotica. I vantaggi dell’assunzione della statina si vedono infatti anche nelle persone che, già colpite da un infarto, hanno, di base, un colesterolo normale, sotto 200 mg/dL. probabile che la statina riduca questo rischio rendendo “più stabile” la placca, impedendone la rottura con la conseguente formazione del trombo. Allora, statina per tutti? Certamente no. Per quanto sia doveroso riconoscere che l’introduzione di questa classe di farmaci nella terapia ha rappresentato un’autentica rivoluzione, la loro prescrizione rimane di competenza esclusiva del medico etirame e andrà graduata in relazione al profilo di rischio della persona, Proprio per queste considerazioni il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) rimborsa la statimi solo a coloro chi, sono ad alto rischio. Chi ha avuto un infarto quasi sicuramente dovrà assumere la statina, oltre a cercare di correggere gli altri fattori di rischio e non trascurare la conduzione di uno stile di vita adeguato.

Qual è il mio rischio di avere un infarto?

La notevole quantità di informazioni epidemiologiche sulla incidenza delle malattie cardiovascolari e sull’importanza dei fattori di rischio nell’insorgenza della malattia aterosclerotica e delle sue complicazioni (infarto del miocardio, ictus ischemico cerebrale, malattia arteriosa periferica degli arti inferiori e delle carotidi) ha consentito di costruire dei modelli statistici circa il rischio di avere un infarto. Questi modelli sono stati elaborati dapprima negli Stati Uniti e successivamente in Europa e in India; nei paesi mediterranei non è stato possibile trasferire semplicemente i dati dello studio, in quanto le abitudini di vita degli statunitensi sono diverse rispetto alle nostre; è ctato quindi necessario raccogliere anche da noi informazioni sulla prevalenza dei singoli fattori di rischio ed elaborare successivamente i modelli statistici.

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Salute

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RedazioneRedazione27 Novembre 2024

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