Molto genericamente si può affermare che chi soffre di allergia alimentare presenta una sensibilità individuale accentuata nei confronti di una o più componenti alimentari, che stimolano una risposta anomala e dannosa del suo sistema immunitario con produzione di anticorpi lgE o attivazione di meccanismi immunitari mediati da cellule. Nel corso della vita ogni individuo assume quantità elevate di innumerevoli alimenti, ognuno dei quali, contiene a sua volta, numerosi costituenti diversi. Ciò implica che ad ogni pasto entrino nell’apparato digerente migliaia di molecole differenti, ognuna potenziale allergene, cioè possibile promotore di una reazione allergica. L’integrità dei naturali meccanismi di difesa – barriere meccaniche e sistema immunitario – inibisce lo sviluppo di fenomeni di sensibilizzazione e stimola la maturazione della tolleranza orale, grazie alla quale gli antigeni contenuti negli alimenti sono riconosciuti come innocui e la risposta immunitaria contro di essi è soppressa. Errori in questo sistema di sorveglianza immunitario fanno sì che la tolleranza non s’instauri normalmente o che si interrompa, promuovendo così lo sviluppo di ipersensibilità alimentari in soggetti particolarmente predisposti.
La sensibilizzazione agli allergeni
La sensibilizzazione è uno stadio comune a tutti i vari tipi di allergie e si articola in alcune tappe obbligate. Un primo contatto con l’allergene avviene, di norma, a seguito di un’assunzione diretta dell’alimento, in quantità anche piccolissima. Autorevoli studi riferiscono casi in cui la semplice esposizione ai vapori di cottura di un alimento o l’inalazione di sue porzioni microscopiche disperde nell’aria possono essere sufficienti a sensibilizzare soggetti predisposti. Questa prima fase del processo di sensibilizzazione non è accompagnata da particolari sintomi o disturbi, ma ha per conseguenza la produzione di anticorpi lgE contro quel particolare allergene.
Un secondo contatto con l’allergene induce il suo riconoscimento da parte degli specifici anticorpi lgE e dà inizio alla serie di eventi caratteristici della risposta allergica. Nel folto gruppo delle allergie alimentari, le allergie lgE mediate sono quelle più frequenti e anche le più studiate. Il profilo delle forme lgE mediate, nelle quali sono implicati meccanismi immunologici diversi dai precedenti, si è meglio delineato solo negli ultimi anni grazie a studi specialistici mirati.
Una maggiore incidenza nell’infanzia
Le allergie alimentari rappresentano solo una piccola frazione del totale delle patologie allergiche e sono più frequenti nei bambini che negli adulti. Secondo i dati diffusi dalla EAACI bel corso di un importante convegno internazionale tenutosi a Venezia nel febbraio del 2011 le allergie alimentari appaiono in continuo aumento. In Europa 17 milioni di persone soffrono di una qualche allergia alimentare, la fascia di età più colpita è quella tra 0 e i 5 anni, anche se percentuali significative si registrano pure tra i più grandi; in generale, il numero dei bambini allergici è raddoppiato negli ultimi 10 anni. La prevalenza (cioè la misura della presenza di una malattia in una popolazione) delle allergie alimentari è diversa nei bambini dei vari paesi europei con un’oscillazione compresa tra l’1,7% (grecia) e il 5% (Francia, Inghilterra, Germania, Olanda). Italia e Spagna registrano percentuali pari al 4%. Per spiegare la diversità dei dati sono state avanzate delle ipotesi secondo le quali potrebbero esserci causalità tra quantità di vitamina D e di sostanze antiossidanti presenti nella dieta dei bambini, loro esposizione alla luce solare e l’insorgenza delle allergie. In particolare, uno studio appena pubblicato ha dimostrato una correlazione tra la bassa concentrazione di vitamina D nel sangue e la maggiore incidenza di allergie respiratorie ed alimentari. I cibi più allergizzanti per questa fascia d’età sono latte, uova, noci, nocciole e arachidi.
Tra gli adulti europei, ove le donne sono più colpite degli uomini, la prevalenza delle allergie alimentari è di circa il 3% con un’oscillazione compresa tra l’1,6 (Danimarca) e il 3,5% (Italia, Germania, Francia). Tra gli adulti dell’Europa continentale l’allergia più diffusa è quella a verdura e frutta fresca, mentre tra le popolazioni anglosassoni prevale l’allergia alla frutta a guscio (noci, nocciole) e alle arachidi. In Italia gli alimenti più frequentemente coinvolti sono: verdura, frutta fresca – soprattutto pesche e albicocche -, crostacei, alcuni tipi di pesce, legumi, semi e grano.
Chi è maggiormente a rischio
Il rischio teorico di sviluppare un’allergia alimentare interessa tutta la popolazione, anche se in pratica, i soggetti atopici, cioè con predisposizione ereditaria alle malattie allergiche, sono i più frequentemente colpiti.
La componente ereditaria è senza dubbio importante nello sviluppo di malattie allergiche. Spesso chi soffre di allergie ha uno o entrambi i genitori o altri parenti stretti affetti dalla stessa patologia. La probabilità di sviluppare allergie aumenta se entrambi i genitori sono allergici, anche se la sintomatologia che interessa i figli non sempre coincide con quella presente nei genitori. Secondo un recente studio condotto negli USA i primogeniti sono più esposti alle allergie rispetto ai fratelli minori. Nascere in una stagione dell’anno in cui l’esposizione a potenziali allergeni è accentuata, nascere sottopose o da madre fumatrice, sembrano essere tutti fattori di rischio aggiuntivi. La componente ereditaria non è tuttavia in grado di giustificare da sola, il consistente aumento delle allergie registrato negli ultimi decenni nei paesi a maggior sviluppo industriale. Sono state valutate altre possibili concause in grado di giustificare la tendenza alla crescita di queste patologie: tra le ipotesi più accreditate vi sono quella igienista, quella relativa all’influenza dei fattori ambientali e quella sullo stato di infiammazione subclinica persistente.
Le cause del generale aumento delle allergie alimentari
Secondo tale teoria, il sistema immunitario dei soggetti appartenenti alle aree geografiche più ricche del pianeta non sarebbe opportunamente utilizzato, per un insieme di motivi legati sia alle migliorate condizioni igieniche generali sia allo sviluppo della farmacologia, al fenomeno dell’inurbamento e all’aumentato consumo di alimenti conservati e sterilizzati. Lo standard igienico ambientale, personale e degli alimenti è molto migliorato negli ultimi decenni grazie alla maggior disponibilità di acqua potabile e all’alto consumo di detersivi e detergenti; parallelamente sono molto diminuiti sia la carica microbica ambientale complessiva che il conseguente rischio d’infezioni. La diffusione delle vaccinazioni ha felicemente ridotto la circolazione di microorganismi patogeni e l’incidenza delle malattie infettive, ma ha anche raffreddato il complesso meccanismo naturale della lotta alle infezioni. Inoltre il diffuso abbandono delle campagne e il trasferimento nei grandi centri urbani di una quota molto alta di popolazione ha ridotto sensibilmente il numero dei contatti degli individui con gli elementi caratteristici degli ambienti naturali, privando il sistema immunitario di quel sano esercizio di cui sembra necessitare per mantenere al meglio la propria efficienza. Alcuni studi evidenziano una correlazione inversa tra insorgenza di episodi infettivi intestinali nell’età infantile e futuro sviluppo di malattie allergiche. In particolare la ridotta stimolazione microbica del tessuto linfoide associato all’intestino, il GALT, legata alle migliorate condizioni igieniche generali, oltre che all’uso diffuso di alimenti a bassa carica microbica o sterilizzati o trattati con antimicrobici, sembra giocare un ruolo fondamentale nello sviluppo delle allergie. Queste ultime circostanze rallentano, infatti, il processo di maturazione del sistema immunitario (influenzato dal tipo di stimoli esterni, dalla loro entità, dalle caratteristiche genetiche individuali) e aumentano in parallelo il rischio di sensibilizzazione allergica.
Secondo alcuni autori, la stimolazione continua del GALT da parte della flora batterica intestinale rappresenta un fattore di prevenzione circa l’insorgenza di future patologie allergiche; in particolare sembra essere discriminante la prevalenza di specifici ceppi batterici intestinali. Un importante studio ha evidenziato che in bambini allergici è più probabile individuare alterazioni della microflora intestinale, che presenta, rispetto ai coetanei non allergici, una ridotta percentuale di lactobacilli a fronte di una prevalenza di clostridi e altri aerobi.
L’ipotesi dei fattori ambientali
Tra i fattori sospettati di favorire le allergie, un posto di primo piano occupa la scarsa qualità dell’aria che respiriamo, inquinata dallo smog e dal fumo di sigaretta. Ossidi d’azoto, ozono, polveri sottili, provocano infiammazione delle vie aeree e facilitano la sensibilizzazione. Queste sostanze sono prodotte quotidianamente dalle centrali termoelettriche, dalle industrie chimiche, dai motori delle automobili e dagli impianti di riscaldamento domestico e sono immesse nell’atmosfera in quantità pari a molte migliaia di tonnellate l’anno. Il fumo di sigaretta, le numerose sostanze chimiche rilasciate da materiali da costruzione, arredi e vernici, sono tutti fattori responsabili dell’inquinamento degli ambienti domestici. Le pubbliche amministrazioni possono fare prevenzione scegliendo per parchi e viali cittadini piante a basso potenziale allergenico (ippocastani, palme, pini) al posto di cipressi, olivi, betulle. L’esposizione a nuove sostanze allergizzanti – rappresentate dalla frutta esotica o da specie vegetali di nuovo insediamento o ancora dal latrice di gomma che conosce un utilizzo diffusissimo – rappresenta un fattore di rischio aggiuntivo.