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Bibite tradizionali o light?

Gironzolando fra gli scaffali di qualsiasi supermercato ormai quasi non ci stupiamo più dell’ampia offerta di bibite a nostra disposizione. Oltre ai più noti marchi internazionali, negli ultimi anni anche diverse aziende italiane produttrici di acqua in bottiglia si sono avventurate nel mercato delle bibite, facendo sì che si possa scegliere fra decine e decine di prodotti come cole, aranciate, limonate, bibite alla frutta, tè freddo e così via.

Parallelamente, l’attenzione nei confronti degli aspetti nutrizionali e dei risvolti sulla salute di queste bevande ha cominciato ad affermarsi ed avere il suo peso a livello di marketing. Di conseguenza, le industrie produttrici si sono adeguate alla domanda, immettendo sul mercato i corrispettivi “dietetici” di molti dei loro prodotti. In questo modo, variegando l’offerta, questi marchi sono riusciti ad accaparrarsi le simpatie (ed i consumi) anche di quella fetta di popolazione che, volendo essere parchi nell’assunzione di zuccheri, non erano di norma consumatori di bibite dissetanti. E naturalmente anche le preferenze delle persone cui, a causa di problemi di salute come il diabete, il consumo di bevande zuccherate è totalmente precluso.

Bibite tradizionali

Le bibite tradizionali, conosciute anche come soft drinks, sono bevande non alcoliche a base di acqua, spesso gassata, zucchero e aromi; possono contenere anche ingredienti come caffeina, estratti vegetali o succo di frutta.

Si tratta di bibite molto zuccherate, e di conseguenza anche molto caloriche. Come riportato in seguito nelle tabelle nutrizionali, è sufficiente una porzione da 250 ml di prodotto (poco più di un bicchiere) per introdurre circa il 4-6% delle calorie giornaliere necessarie, calcolate su un fabbisogno complessivo di 2000 kcal. Se andiamo a controllare le quantità di zuccheri assunte con la stessa quantità di prodotto, non si può non rimanere stupiti del fatto che, con soli 250 ml di bibita, siamo in grado di soddisfare circa un terzo del nostro fabbisogno giornaliero. Tutto ciò ha conseguenze facilmente immaginabili: basta pensare a quante calorie sono contenute in una bottiglietta da mezzo litro, che è uno dei formati più venduti, oppure alle conseguenze che derivano dal classico (e scorretto) comportamento di “attaccarci alla bottiglia” contenuta nel frigo di casa, perdendo il conto della quantità consumata.

C’è inoltre da considerare il fatto che questi valori sono calcolati sui fabbisogni medi di un adulto: ma i bambini, che sono fra i consumatori più ostinati e assidui di bibite zuccherate, hanno fabbisogni giornalieri anche di molto inferiori. Così, è davvero facile che un bicchiere di bibita possa arrivare a rappresentare il 10% del fabbisogno calorico di un bambino. Ma non se ne beve mai solo uno al giorno: due, tre, quattro bicchieri hanno effetti a lungo andare deleteri. Non è un caso che la popolazione infantile dei paesi industrializzati sia sempre più obesa, e fra le cause di questa vera e propria “epidemia” sono da indicare proprio le bevande zuccherate tanto amate dai più piccoli.

E non è solo l’obesità a dovere essere messa in conto: un problema ben più grave, e purtroppo in costante aumento, è l’insorgenza del diabete nei bambini a causa dell’abuso di zuccheri nell’alimentazione. Naturalmente non è solo “colpa” delle bibite, ma anche dei cibi (merendine, snack, gelati, dolciumi…) consumati dai più piccoli, ai quali tuttavia va sommato anche l’apporto delle bibite zuccherate. Che, spesso, è oltretutto poco quantificabile.

Il consumo di bibite e, in generale, di alimenti zuccherati determina inoltre l’insorgenza di carie dentale, problema che soprattutto nei bambini è diffusissimo. Come ben si sa, è infatti difficile instaurare nelle fasce d’età più giovani dei comportamenti corretti dal punto di vista dell’igiene orale e della prevenzione della carie.

Ma quanto zucchero c’è in una lattina di bibita gassata? Un interessante esperimento è stato condotto da Dario Bressanini, autore del blog “La Scienza in Cucina” (http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2007/08/30/dolce-e-aspro/). Consultando la tabella nutrizionale delle bevande gassate tradizionali, ci rendiamo conto che in una lattina da 330 ml sono contenuti circa 3540 grammi di zucchero. Proviamo a pensare a quanti siano, pesati su una bilancia, queste quantità di saccarosio: e tutto contenuto in una lattina! Vale sicuramente una pena dare un’occhiata alle fotografie pubblicate sul post sopra linkato per farci, se non altro, avere qualche “ripensamento”.

Bibite light

Le cosiddette bibite “light”, “senza zucchero” o “diet” presentano una composizione analoga a quelle tradizionali ma con una chiara differenza: non contengono infatti zuccheri, ma sono addizionate di edulcoranti a bassissimo (spesso nullo) apporto calorico. I principali edulcoranti utilizzati nelle bibite sono aspartame, acesulfame K, ciclamato di sodio e saccarina: si tratta di sostanze chimiche di sintesi che, pur essendo in grado di conferire un sapore dolce alle preparazioni nelle quali vengono aggiunte, non determinano apporti calorici.

Il loro potere dolcificante è elevatissimo, e va da 30 a 500 volte quello del saccarosio: in parole povere, dunque, è sufficiente utilizzare un quantitativo in peso che va da 1/30 a 1/500 di quello dello zucchero, per ottenere lo stesso grado di “dolcezza” di una bibita (o qualsiasi alimento). Inoltre i dolcificanti artificiali sono acariogeni, ovvero non favoriscono l’insorgenza delle carie, e non scatenano nell’organismo né squilibri della glicemia e né i conseguenti picchi insulinici possibili responsabili, a lungo andare, dell’insorgenza del diabete.

Sembrerebbe tutto perfetto, quasi uno slogan pubblicitario: calorie quasi nulle pur mantenendo tutto il sapore del prodotto. In realtà non è tutto oro quel che luccica: prima di tutto, i dolcificanti non hanno esattamente lo stesso sapore dello zucchero e l’aspartame, in particolar modo, ha un gusto che a taluni può risultare sgradevole. Ma il fattore principale da tenere in considerazione è che gli edulcoranti artificiali sono, e rimangono, sostanze totalmente “estranee” alla nostra alimentazione, e che quindi devono essere assunte con cautela.

Proprio per questo esistono dei valori di riferimento che indicano le dosi giornaliere raccomandate per questi ingredienti: le DGA. Questa sigla sta per Dose Giornaliera Accettabile ed è la traduzione della sigla inglese Acceptable Daily Intake (abbreviato in ADI). Si tratta di un valore il cui utilizzo appartiene al campo della tossicologia, e che rappresenta la quantità massima tollerabile di una sostanza che un essere umano (in base al suo peso corporeo) può assumere ogni giorno, per tutta la vita, senza incorrere in effetti negativi. La DGA viene pertanto espressa in milligrammi di sostanza giornalieri per peso corporeo.

La quantificazione delle DGA si basa su prove di laboratorio, ma per ovvie ragioni etiche nessuno ha mai fatto esperimenti “per tutta la vita” su esseri umani. Perciò, nella determinazione di questa quantità potrebbero anche esserci errori: tutto questo fa propendere verso una certa cautela nell’utilizzo quotidiano di sostanze dolcificanti. Che, ricordiamolo, sono contenute in moltissimi altri prodotti come, ad esempio, caramelle o chewing gum, il cui apporto deve essere sommato a quello delle bibite light.

Ecco, secondo l’EFSA (European Food Safety Authority, www.efsa.europa.eu/it/) l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, le DGA per alcuni tipi di dolcificanti artificiali sono:

  • aspartame: 40 mg/kg di peso corporeo/die;
  • saccarina: 2.5 mg/kg peso corporeo/die;
  • ciclamato di sodio: 11 mg/kg peso corporeo/die.

Queste dosi sono riferite a persone adulte ed in buono stato di salute complessivo: in un’ottica cautelativa e di buonsenso, perciò, i dolcificanti non dovrebbero essere somministrati ai bambini sotto ai tre anni, e nemmeno alle donne in stato di gravidanza o allattamento.

Forse a pochi sarà sfuggita la scritta riportata sulle etichette di bibite (ma anche di altri prodotti) contenenti aspartame, e che recita: “Contiene una fonte di fenilalanina”. Si tratta di un’indicazione di fondamentale importanza per le persone sofferenti di una seria malattia congenita, la fenilchetonuria (PKU). Questi individui infatti vanno infatti incontro a fenomeni di intossicazione a causa dell’assenza di un enzima necessario per la metabolizzazione della fenilalanina, derivante proprio dall’aspartame. In questi soggetti, l’accumulo di fenilalanina è in grado di causare sindromi da intossicazione ed alterazioni delle funzioni intellettive; pertanto, chi soffre di fenilchetonuria dovrebbe prestare grandissima attenzione a tutti i prodotti “senza zucchero”.

L’assenza di zuccheri rende le bibite light idonee ad essere consumate dalle persone che soffrono di diabete, e viene considerata una prassi nell’ambito delle diete ipocaloriche volte alla perdita di peso.

Confronto fra bibite tradizionali e light

Di seguito è riportata la tabella nutrizionale relativa al contenuto medio di 100 millilitri di bevande tradizionali del tipo “Cola”, “Aranciata” e “Tè freddo”, con i loro corrispettivi senza zuccheri.

INFORMAZIONI NUTRIZIONALIValori medi per 100 ml
Cola Cola s.z. Aranciata Aranciata s.z. Tè freddo Tè freddo s.z.
ENERGIA kcal 42 0.3 48 5.2 31.2 1.2
Proteine g 0 0 0 0 0 0
Zuccheri g 10.8 0 11.6 1.2 8.4 0
Lipidi g 0 0 0 0 0 0
Sodio g 0 0.01 0 0.02 0.01 0.01

Ed ecco indicati i valori di proteine, zuccheri, lipidi e sodio relativi alle diverse bevande, e riferiti alle GDA (Guideline Daily Amounts, ovvero Quantità Giornaliere Indicative). Le percentuali sono indicative, e calcolate sulla base di un fabbisogno giornaliero di circa 2000 kcal.

Ogni porzione (250 ml) contiene:
Cola Cola s.z. Aranciata Aranciata s.z. Tè freddo Tè freddo s.z.
ENERGIA 5% 0% 6% 1% 4% 0%
Proteine
Zuccheri 29% 0% 33% 3% 21% 0%
Lipidi
Sodio 0% 1% 0% 2% 1% 1%

È evidente come l’apporto di zuccheri delle bibite light sia irrilevante nell’ambito dei fabbisogni energetici giornalieri: mentre, ad esempio, una bottiglietta di cola da mezzo litro fornisce qualcosa come il 10% del fabbisogno calorico giornaliero, e quasi il 60% degli zuccheri, lo stesso quantitativo del corrispettivo “light” non fornisce alcuna caloria. Anche il tè freddo senza zuccheri non apporta alcuna caloria, mentre il discorso per l’aranciata è leggermente diverso: si tratta infatti di un prodotto che naturalmente contiene gli zuccheri della frutta e che, anche quando commercializzato come “light”, mantiene comunque un piccolissimo apporto zuccherino e calorico.

Il vincitore? La moderazione

Nella tabella sottostante, ecco un breve “riassunto” dei pro e dei contro delle bevande tradizionali e di quelle light.

Bibite zuccherate Bibite light
Pro Contro Pro Contro
Dolcificanti “naturali” Eccesso di calorie e zuccheri Calorie e zuccheri irrilevanti Dolcificanti artificiali (DGA)
Carie Acariogene
Vietate ai diabetici Permesse ai diabetici

Le bibite light sono state formulate principalmente per venire incontro alle esigenze salutistiche di chi, in un mondo sempre più sovrappeso, è in perenne inseguimento del miraggio per antonomasia: la riduzione del proprio peso corporeo. E la sempre maggiore tendenza all’obesità è proprio ciò che sta determinando il grandissimo successo di questi prodotti, così come di molti altri della categoria “senza zucchero”.

Abbiamo visto come le bibite light non forniscano energia all’organismo, né zuccheri: in molti pensano dunque che queste bibite siano in grado di aiutare nell’ambito delle diete ipocaloriche. È tuttavia sbagliato pensare che, per perdere peso, sia sufficiente la sostituzione delle bibite tradizionali con quelle senza zucchero, innanzitutto perché è facile cadere nella tentazione di “rimpiazzare” le calorie risparmiate con gli alimenti light con quelle di altri cibi. Si tratterebbe in parole povere di una compensazione, seguendo un ragionamento del tipo: “Risparmio 150 calorie bevendo una bibita dietetica, quindi posso permettermi di compensarlecon qualche altro cibo: tanto, la quantità di calorie assunta è la stessa…”. Purtroppo, ahimè, non è così che funzionano le cose: si tratta di una valutazione semplicistica, che qualsiasi dietologo sconsiglia anche solo di prendere in considerazione. A tal proposito è utile citare quanto riportato da una pubblicazione dell’INRAN (Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, http://www.inran.it/), e precisamente nella “Linea Guida n. 4: Zuccheri, dolci e bevande zuccherate: nei giusti limiti” (http://www.inran.it/files/download/linee_guida/lineeguida_04.pdf):

Non è vero che i prodotti “light” o “senza zucchero” non facciano ingrassare e quindi possano essere consumati liberamente. Molti di questi prodotti apportano calorie anche in notevole quantità. Leggi attentamente l’etichetta nutrizionale e ricordati che l’uso di questi alimenti induce un falso senso di sicurezza che porta a consumare quantità eccessive sia degli alimenti “light” che degli alimenti normali.”

Infatti si può dimagrire solo riducendo le calorie introdotte con l’alimentazione (e non “sostituendole”), e soprattutto muovendosi di più, come efficacemente ribadisce il documento sopra citato, che così riporta:

Il consumo dei sostituti dello zucchero, pur se ormai entrato nell’uso corrente, non è affatto indispensabile, neppure nei casi in cui si seguano regimi ipocalorici per la riduzione del peso. Infatti l´uso di questi edulcoranti non permette da solo di ridurre il peso corporeo se non si diminuisce la quantità totale di calorie introdotte con la dieta e non si aumenta l’attività fisica.”

È pur vero che chi soffre di diabete non ha altra scelta che optare per bibite senza zucchero, se si vuole concedere una bevanda alternativa. E questa categoria di persone è senz’altro l’unica che, effettivamente, ha il “diritto” di considerare le bevande light come l’unica scelta possibile.

Per chi non soffre di questi problemi il discorso è decisamente diverso: optare per le bevande senza zucchero immaginando di poterne trarre solo gli aspetti positivi deve necessariamente tenere in considerazione anche il rovescio della medaglia: si tratta di prodotti contenenti dolcificanti le cui ripercussioni sulla salute non sono ancora del tutto state determinate con esattezza. In questo ambito, anche il mondo della ricerca medico-scientifica è in continua evoluzione, e gli studi tossicologici evidenziano via via risultati diversi al punto che i livelli massimi giornalieri tollerabili sono in continua ridefinizione. In parole povere, se ci teniamo alla nostra salute è bene consumare le bibite dietetiche con moderazione, prestando attenzione alle quantità totali di sostanze edulcoranti assunte giornalmente.

Come si diceva prima, è sconsigliata la somministrazione di queste bibite ai bambini al di sotto dei tre anni, e per quelli un po’ più grandicelli vale comunque la regola della moderazione. Bisogna, infatti, cercare di insegnare ai più piccoli il valore e le implicazioni di quanto introdotto nell’organismo con l’alimentazione: le bevande light non possono essere considerate un facile escamotage per evitare il problema. Rimane comunque la regola d’oro per donne in stato di gravidanza o in allattamento: è meglio far valere il principio di cautela ed evitaretotalmente l’assunzione di edulcoranti artificiali.

In conclusione, si può affermare che una lattina una volta tanto (sia per le bibite senza zucchero, ma anche per quelle tradizionali) non rappresenta certo un rischio per la salute: moderazione, dunque, è la parola chiave per un utilizzo corretto di questi prodotti.

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