Il cuore del problema
Le azioni da compiere prima e dopo l’infarto hanno sicuramente dei punti in comune. La differenza è solo nel tempo di intervento. Ciò significa che la malattia delle coronarie, i fattori di rischio, le patologie predisponenti, esistono sia prima che dopo l’infarto. Andrebbero trattate prima e devono comunque essere trattate dopo. La strategia terapeutica sostanzialmente è la stessa, solo che dopo l’infarto, generalmente, occorre adottare un trattamento più intenso.
Secondo un noto proverbio, è unitile chiudere la stalla quando i buoi sono fuggiti. E’ quello che purtroppo fanno molti pazienti che, solo dopo l’infarto, smettono di fumare, si mettono a dieta, controllano la pressione e curano l’ipertensione. Dopo il danno, fanno tutto quello che avrebbero dovuto fare prima (e che gli era stato detto ripetutamente di fare). Questa reprimenda è al contempo un invito a riflettere per tempo sul proprio stato di salute, in modo da attuare una vera prevenzione, e un esplicito messaggio per far intendere che, sia nel quadro della terapia convenzionale, sia in quello dell’omeopatia, il controllo dei fattori di rischio è essenziale e insostituibile per ottenere o mantenere uno stato di buona salute. E’ un comportamento che va messo in atto prima di prendere i farmaci perchè se ne possa evitare l’uso. Per converso, i farmaci non possono sostituirsi a queste regole salutistiche. Essi vanno presi quando una dieta da sola non basta. Infatti, il rispetto di qyeste regole igieniche di vita non è una prerogativa della medicina convenzionale o dell’omeopatia, e nessun farmaco può sostituirsi ad esse, che sono la base essenziale di qualunque terapia. Detto ciò, l’omeopatia può aiutare sotto molti aspetti.
Terapie insostituibili
Per comodità di esposizione, sarà preferibile affrontare subito il problema del trattamento della fase acuta dell’infarto e delle sue complicanze.
La letteratura omeopatica ottocentesca e della prima metà del Novecento riporta una vasta casistica che riguarda il trattamento di quadri clinici riconducibili con ogni probabilità a eventi infartuali acuti, e i rimedi descritti come efficaci sono numerosi. Ovviamente si tratta di notazioni che rivestono un valore puramente storico. Attualmente gli interventi ospedalieri sono talmente perfezionati ed efficaci da rendere improponibile un’alternativa omeopatica “casalinga”. Equivarrebbe a pensare di riparare un osso rotto cori una medicina per bocca senza ingessarlo.
C’è una tale evidenza di efficacia nel trattamento ospedaliero (che, come già ben chiarito in questo libro, deve anche essere il più rapido passibile), da non dover prendere in considerazione altri interventi. Anzi, pendete tempo con tentativi diversi costituisce una colpevole mancanza.
Rimedi omeopatici per l’infarto
Il discorso si fa diverso quando si affronta la questione del trattamento dei fattori di fischio che non si riescano a correggere. Dato che i fattori di rischio legati al fumo e dipendono quasi esclusivanàente dalla volontà ci concentreremo su ipertensione, obesità, ipercolesterolemia e diabete.
Si tratta di patologie indipendenti l’una dall’altra, nel senso che possiamo trovarle separatamente, ma è ampiamente risaputo che spesso coesistono. Il diabetico è più spesso obeso e iperteso rispetto ai non diabetici. Queste osservazioni devono far riflettere. Vuol dire che esiste in qualche modo un denominatore comune che predispone questi pazienti verso una cena direzione patologica. Potremmo dire un “terreno”. La genetica ci sta insegnando molte cose in merito, a conferma di questa constatazione clinica ormai acquisita.
L’omeopatia non solo può agire bene su ciascuna di queste patologie, ma può anche riuscire a modificare il terreno in cui le malattie si radicano. Non solo si può trattare il paziente quando diventa iperteso, ma si può anche trattare il terreno prima che si manifesti il rialzo della pressione.
Ipertensione e obesità
L’ipertensione è una malattia dall’origine complessa; la pressione è regolata da molti meccanismi in equilibrio tra lite. Al di là della malattia in sé, è quindi necessario chiedersi dove e come il meccanismo di regolazione si sia “inceppato”.
La medicina convenzionale cerca la risposta osservando dove si siano alterate le singole parti dei meccanismi cellulari e biochimici, la medicina omeopatica cerca invece di comprendere l’alterazione del sistema nella sua interezza. La medicina convenzionale cerca di intervenire sul singolo meccanismo, l’omeopatia cerca di intervenire sul sistema-uomo per correggere il suo funzionamento in generale. Sono due approcci terapeutici completamente diversi che difficilmente si accorciano, ma che con buon senso e lungimiranza in alcuni casi possono integrarsi.
Quando la medicina convenzionale trova il meccanismo che non funziona si parla di ipertensione secondaria. Ma per la maggior parte degli ipertesi non si riesce a capire quale sia il meccanismo inceppato, e si parla di “ipertensione essenziale”, che C: un modo elegante per dire “di origine sconosciuta”. Per fortuna anche questa si può trattare con i farmaci. Si usano i farmaci antiipertensivi, ma a ben vedere l’ipertensione essenziale è una malattia che si cura ma non si guarisce.
La differenza non è poca. Gli antiipertensivi costituiscono una cura radicale, come per esempio gli antibiotici: l’antibiotico infatti elimina tutti i germi e il malato guarisce, torna sano e non ha bisogno di altre cure. Gli antiipertensivi sono dei medicinali sintomatici, cioè eliminano il “sintomo ipertensione”, ma guariscono la malattia ipertensiva. La curano, abbassano i valori pressori, ma l’iperteso resta un malato di ipertensione. Infatti, se smette le cure la pressione torna alta. Questo dipende dal fatto che il ‘meccanismo inceppato” seguita a essere inceppato.
L’omeopatia, in questo caso, può sperare di fare di più, poiché cerca di riequilibrare il sistema nel suo insieme: essa può proporsi l’obiettivo di guarire l’iperteso, cioè di riportarlo a valori di pressione normali e di consolidare il risultato senza il bisogno di continuare ad assumere farmaci.
Davvero è possibile ottenere un risultato del genere? In linea di principio sì. Con alcuni limiti. La pressione regolata dai meccanismi complessi, e si diventa ipertesi quando essi sono fortemente alterati. Per questo motivo la terapia diventa difficile, e non è una battuta paradossale dire che è più facile guarire un individuo sano. Significa che più si è vicini a un equilibrio più è facile raggiungerlo.
L’iperteso ha dei meccanismi che si sono allontanati molto dall’equilibrio iniziale. Prima che si manifesti lo sbalzo di pressione, l’equilibrio si era già alterato da tempo: l’omeopatia può riconoscere l’alterazione e trattarla in anticipo.
Si può in altre parole curare il malato di ipertensione anche prima che manifesti il “sintomo ipertensione”. Allo stesso modo si può trattare meglio un paziente con la pressione alta se questo problema si è presentato da poco tempo. E ovviamente se non ci sono altre patologie, come per esempio l’obesità o il diabete. Un adeguato trattamento omeopatico in una forma iniziale di ipertensione può riportare il malato a un equilibrio in cui la sua pressione tornerà normale e tale resterà anche senza terapia. Se si avrà l’accortezza di proseguire un percorso terapeutico anche dopo il ripristino dell’equilibrio pressorio, si potrà ulteriormente riequilibrare il terreno, in modo che la normalizzazione pressoria si stabilizzi nel lungo periodo. Si dice che l’omeopatia è una medicina lenta. Niente di più falso. Si possono risolvere coliche renali in pochi minuti, focolai di broncopolmonite nello spazio di una notte, ascessi dentari in poche ore: la malattia acuta si può risolvere molto rapidamente, tanto da restare a volte increduli. La malattia del “terreno” invece ha bisogna di tempo. In tal caso è vero che la terapia è lenta, ma è lenta perché è grande il lavoro da fare per acquisire un equilibrio, e non sempre ci si riesce. Occorre poi fare i conti anche con i numerosi casi in cui la pressione alta è presente da molto tempo ed è sempre stata curata con i farmaci convenzionali. In questo caso le possibilità di guarigione sono assai meno probabili. Tuttavia ,si può dire che vale lo stesso la pena affiancare una terapia omeopatica. Spesso si assiste a un miglior controllo dei valori pressori e in diversi casi è addirittura possibile ridurre il numero di farmaci convenzionali e/o le loro dosi. In questo modo si riescono anche a ridurre gli effetti collaterali e indesiderati che talora si manifesta-no e che, pur non essendo stati tali da modificare la cura stabilita, sono però fonte distilli a volte non indifferenti (per esempio la comparsa di stitichezza, una certa secchezza delle mucose, un po’ di gonfiore alle gambe ecc.). Le precedenti riflessioni possono essere tranquillamente applicate al diabete e l’ipercolesterolemia, anche se si tratta di patologie metaboliche, per certi versi ancora più complesse e spesso legate ad anomalie genetiche.